Prima erano dei cloni con una qualità discutibile. Poi, sono diventate carine, sì, ma "pericolose", soprattutto se elettriche. E quelle valide "non sono mai belle da guidare come le nostre". Parlo delle auto cinesi, quelle che costano poco, sì, ma "solo perché il governo ci mette i soldi". E ora che i soldi sono finiti, perché l'economia cinese ha rallentato, invadono i mercati europei con decine di nuovi marchi che sono interessanti, sì, ma "destinati a fallire perché sono troppi".
La narrazione sull'auto cinese va così: un'alternanza di riconoscimenti seguiti da un "sì, ma". C'è del vero e c'è del falso in quello che si dice, come in tutte le storie. Ma c'è anche un vizio di fondo: l'abitudine a svalutare ciò che non riusciamo a comprendere.
È la storia della volpe e l'uva: vi ricordate la favola di Esopo? In Cina non esiste, perché la cultura cinese è diversa. Se qualcosa non riesce, non la si disprezza: si riconosce la superiorità dell'avversario, lo si studia e infine si cerca di ottenere lo stesso risultato copiandolo e aggiungendo qualcosa. Vale per tutto e per l'automobile in particolare, dove i cinesi hanno imparato da noi.
Tenere a mente la morale della volpe e l'uva è fondamentale per l'industria europea dell'auto, che oggi deve superare una crisi esistenziale senza precedenti. I "sì, ma" che troppo spesso sento pronunciare, non nei bar tra appassionati, ma fra addetti ai lavori, sono pericolosi. Perché ci illudono che il problema sia relativo e che la soluzione dipenda da qualcun altro: il governo, l'Europa, la geopolitica.
Attenzione: questo non significa che non siano necessari interventi correttivi, ma che l'industria dell'auto non dovrebbe usarli come alibi per evitare di guardarsi allo specchio. Il rinvio del 2035 può dare respiro ai costruttori e ai consumatori che non sono ancora pronti all'elettrico, i dazi possono rallentare la competizione, gli incentivi possono sostenere la domanda, ma nessuna politica industriale può sostituirsi alla capacità di innovare.
Chi dice "sì, ma" difficilmente mette in discussione quello che fa. E mai come oggi il "fare auto in Europa" va rimesso in discussione, prendendo spunto da chi le auto le pensa in modo diverso. Non parlo di tecnologia – batterie, software, guida autonoma – ma di concezione del prodotto. I cinesi stanno ridefinendo cosa può essere un'automobile: uno spazio connesso, trasformabile, un'esperienza "wow" prima ancora che un mezzo di trasporto.
Le auto che saltano, che volano, abitacoli che si trasformano in salotti, sistemi di infotainment che anticipano i bisogni. Possiamo liquidare tutto questo con un "sì, ma sono stupidaggini" oppure chiederci: perché milioni di consumatori trovano interessanti auto del genere? La sfida non è copiare le auto cinesi, ma copiare il loro coraggio di sperimentare: lo stesso spirito che, in cent'anni, ci ha portati dal motore a benzina al common rail, dall'Abs all'Esp.
Dunque, l'uva non è acerba. È matura, e sta crescendo su viti che abbiamo piantato noi decenni fa. Ora tocca a noi reimparare e per farlo, invece di dire "sì, ma", chiediamoci cosa possiamo fare di ancora più innovativo. E magari inedito.